CASO ENGLARO: UN RICHIAMO AL SENSO DI RESPONSABILITA’
9 Febbraio 2009
TOLLERANZA, PLURALISMO E LAICITA’
18 Febbraio 2009
Guarda tutto

I SINTI ITALIANI, LA COSTITUZIONE E I DIRITTI INVIOLABILI

Nel nostro paese esistono i Rom e i Sinti, in tutto circa 140mila. Essi sono molte volte oggetto di discriminazione e segregazione. Secondo un errato (e imbarazzante) metodo di classificazione vengono sommariamente denominati tutti allo stesso modo: zingari. Tutto questo non si può più tollerare. La speranza è che questo articolo possa contribuire a far comprendere e diffondere l’idea, abbastanza consolidata in ambiti accademici ed intellettuali, ma priva di riscontro presso l’opinione pubblica, che si deve parlare di Rom e Sinti. Non è semplice retorica ma una costatazione dei fatti, una doverosa precisazione in un paese democratico e promotore di principi quali la libertà e tutela delle minoranze, tra l’altro contemplati dalla Costituzione.

Il 60% di quelli che fino adesso venivano classificati sommariamente zingari sono cittadini italiani risalenti da famiglie insediate in Italia già dalla fine del ‘300. Questo implica che l’immagine del mendicante che non parla l’italiano ai semafori delle nostre strade o delle donne con al seguito  bambini in cerca di elemosina non corrisponde ai Sinti ma ad una parte dei Rom, ovvero coloro che provengono per lo più dall’Est europeo. Allora dove sono i Sinti? Chi sono?

Non ci rendiamo conto che, molto probabilmente, tutti noi abbiamo avuto a che fare con qualche Sinto perché prima di tutto parlano correttamente l’italiano e poi lavorano e si vestono “all’occidentale” ma sono costretti a nascondere la propria identità per paura della discriminazione. Un’identità culturale sconosciuta all’opinione pubblica italiana perché diversa da quella dei Rom, ai quali sono erroneamente associati. La volontà espressa dai Sinti è quella di essere distinti con l’unica e valida classificazione etnica: Sinti e Rom. La parola zingaro è retaggio di pregiudizio e negatività. Ciò di cui bisognerebbe rendersi conto è che a questi Sinti cittadini italiani (con ciò intendo dire con regolari documenti d’identità) vengono negati diritti come quello alla residenza, alla sanità, alla scuola, al lavoro e così via. Ancor peggio vengono costituti i “campi nomadi”, più delle volte nelle periferie delle metropoli tra topi e spazzatura, dove sono trascurate le più basilari regole di igiene e sicurezza. Posti destinati a diventare luoghi di segregazione contro la loro stessa volontà. Ebbene sì, la mala informazione ha diffuso una “bufala” senza precedenti per la storia di queste etnie in un paese civilizzato e democratico come il nostro: tutti i 140mila sono definiti zingari ovvero sudici, ladri e rapitori di bambini. Tutti classificati nello stesso modo. Sarebbe come dire che a Napoli sono tutti camorristi: la camorra esiste ma non appartiene a tutti. Tra i Sinti e Rom ci sono ladri e malviventi ma non sono la maggioranza, anzi è vero il contrario. Va ricercato il confronto con la “parte buona” composta da lavoratori e cittadini onesti. Tra l’altro il tutto è ancora più raccapricciante perché in Italia si è strumentalizzata la questione da un punto di vista politico e mediatico  proponendo dei veri e propri slogan elettorali: “l’emergenza Rom” oppure “diritto alla sicurezza” indicando i Rom ed i Sinti i principali artefici del crescente tasso di micro-criminalità nel nostro paese. Quelli che hanno pagato le conseguenze sono, per esempio, i Sinti italiani evangelici della “Missione Evangelica Zigana” che si vedono vietato il diritto a professare liberamente la propria fede vedendosi negati i permessi per i convegni da loro organizzati subendo una duplice discriminazione: una in base razziale e un’altra in ragione della loro appartenenza alla religione evangelica. In Italia, soprattutto al Nord, dei Comuni ha emanato delle ordinanze di “divieto di sosta ai nomadi” che, in palese contrasto con la Costituzione (art. 16) e con la legislazione a contrasto delle discriminazioni razziali ed etniche, negano il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio nazionale ai soli cittadini italiani riconosciuti come “nomadi” o “zingari”. L’Europa è intervenuta più volte, attraverso dei richiami, sulla questione Rom e Sinti in Italia, senza però trovare riscontro da parte delle istituzioni italiane, dell’uno o dell’altro schieramento, che hanno trascurato e abbandonato il problema fino a quando non è scoppiata “l’emergenza Rom”.

Le politiche di integrazione in favore di queste etnie che si sono promosse in questi anni secondo una “logica di integrazione assimilativa” sono tutte pensate in funzione dell’eliminazione dei loro tratti culturali in favore di una piena adesione alle norme culturali della società moderna e capitalistica. Questo implica l’eliminazione delle loro strutture sociali e culturali alle quali non intendono rinunciare e che, in sé, non hanno nulla di negativo. Ecco perché l’imposizione di questa “assimilazione forzata” ai canoni della nostra struttura sociale hanno sempre rappresentato un fallimento. Tutto questo implica, ovviamente, che anche da parte delle istituzioni sia ben radicata la convinzione che la diversità (intesa come concezione delle strutture sociali e culturali) è un diritto di tutti i cittadini, anch’ esso sancito dalla Costituzione. Essa fino a che non danneggia la libertà e la collettività, va assolutamente tutelata e salvaguardata.

 

 

 

La prima fondamentale questione che dovrebbe vedere impegnati gli “addetti ai lavori”, è quella della difesa dei diritti e del riconoscimento dei doveri di questa popolazione. Una questione delicata, si sa, ma indispensabile per risolvere i problemi nel nostro territorio. I Rom-Sinti in Italia sono relativamente pochi (circa 140mila), se si paragonano a quelli presenti in altri paesi europei, come la Francia e la Spagna. Eppure nella penisola non si riesce a mediare, capire che una serena risoluzione dei fatti è nell’interesse di tutti. L’emarginazione, l’isolamento e la ghettizzazione non sono una soluzione. Infatti la nostra Carta Costituzionale garantisce dei diritti fondamentali all’individuo, come quello alla salute, che devono essere rispettati nell’osservanza di quelli che sono i dettami costituzionali. E’ logico che insieme ai diritti, a questa etnia, devono essere anche imposti dei doveri ai quali, chi conosce queste realtà, sa che la maggioranza di essi vuole attenersi.

Ma quali possono essere delle “soluzioni possibili”?

Personale convinzione, alla luce delle ricerche sociologiche su questa realtà, una delle più possibili ed efficaci soluzioni della “questione Rom-Sinti” è l’integrazione sociale attraverso la scolarizzazione dei bambini, un dovere al quale, tra l’altro, dovrebbero adempiere. Questo non rappresenta né un fatto utopico né una retorica ideologica. Anzi essa sarebbe la naturale soluzione di un problema sulla base di dati ben precisi: in Italia la popolazione Rom-Sinti è molto giovane. Circa la metà degli dell’intera popolazione Rom-Sinti ha meno di sedici anni. Ovviamente oltre che ad un alta percentuale di natalità, questa tendenza si spiega anche in base alle scarse speranze di vita (in media 50 anni). Nel passato si è tentato di incoraggiare la scolarizzazione di questi bambini adottando però un metodo sbagliato, anzi addirittura controproducente. Infatti andrebbe proposta la nascita della figura di un mediatore culturale che tenga prima di tutto conto del fatto che i genitori non rappresentano la generazione “vecchia e perduta” ma che anche essi possono essere protagonisti del processo di scolarizzazione dei loro figli. La mediazione culturale consiste nell’accettare che i bambini non devono sentirsi nelle scuole in un “altro mondo” ma che essi vengano incoraggiati al confronto e ad un’integrazione che non consenta l’eliminazione delle loro origini culturali. Quindi andrebbe introdotto negli istituti scolastici quella che è stata definita la pedagogia interculturale, che aiuti i bambini Sinti e Rom a trovare nelle scuole tracce del loro universo. La mediazione culturale quindi rincorre anche l’obiettivo di una serena e produttiva collaborazione tra i diversi attori sociali in questione: scuola (quindi istituzione), bambini e genitori.

Si spera che i bambini Sinti e Rom potranno, attraverso la scolarizzazione, avere gli strumenti adatti per rispettare e farsi rispettare dalle generazioni future. Inoltre tutto questo sarebbe nel pieno rispetto della Carta Costituzionale, infatti l’art. 34 recita: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni – oggi sedici – è obbligatoria e gratuita. Una condizione indispensabile perché questo avvenga è, oltre che alla disponibilità delle istituzioni, cercare il confronto con questa gente. E’ solo attraverso il tanto evocato, ma poco praticato, dialogo che si stabilisce un rapporto di fiducia tra le parti. Una fiducia che porterebbe queste persone a convincersi della necessità di scolarizzare i propri figli.

Questa è solo una delle “possibili soluzioni” ad un problema che è estremamente attuale e che, oggi più che mai, necessita di una risoluzione definitiva. Pur nel rispetto delle loro tradizioni e culture, questa etnia deve pur convincersi che ci sono delle regole alle quali è necessario attenersi. Però, solo se si stabiliscono delle relazioni è possibile avere la possibilità di spiegare loro che oltre a dei diritti ci sono dei doveri.

 

Leggi l’articolo su Kappaelle format e comunication, 15 febbraio

Curriculum

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *