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IL PCI NELLA STORIA D’ITALIA

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La Casa dell’Architettura, situata nel cuore di Roma, ha ospitato dal 14 gennaio al 6 febbraio la mostra “Avanti Popolo. Il Pci nella storia d’Italia”. Nostalgici, comunisti di ieri e di oggi, ex militanti, ex notabili del partito ed ex leader, ma anche semplici curiosi, hanno affollato ogni giorno la mostra. L’intera esposizione si è basata sulla documentazione archivistica e fotografica della Fondazione Istituto Gramsci, della Fondazione Cespe e del quotidiano L’Unità. Questa manifestazione si inserisce nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

La mostra si è servita dei più tecnologici mezzi di comunicazione, come schermi interattivi per delle proiezioni video, anche se non sono mancate le classiche, ma sempre fascinose, esposizioni di reperti archivistici di grande pregio, come i Quaderni dal Carcere di Gramsci, lettere autografe di Togliatti e appunti manoscritti di Berlinguer. Gli effetti ottici, appena entrati nella sala principale, sono davvero di grande impatto. I colori sono un po’ tetri, essendo tutto molto scuro in un’alternanza di rosso e nero, ma di certo di notevole effetto. Un gioco di luci ed ombre che rispecchia, senza volerlo, oppure sì, la storia reale del partito. La sala è affollata di gente comune, per lo più di mezza età, che rivive attraverso una mostra i fasti di un partito che ha segnato la storia del nostro paese. Qualcuno addirittura accenna alle lacrime rivedendo scene gloriose, date memorabili e i simbolici manifesti delle lotte del partito. Forse dietro quella commozione è celata anche una forte tristezza tra un partito che ha un passato da celebrare, ma che non ha saputo guardare al futuro, e il rammarico di aver creduto in un’ideologia politica che vanta una storia, ma ha smarrito il suo popolo. Infatti il Pci, il “glorioso” Pci, non ha saputo guardare alle sfide del mondo globale ed i suoi dirigenti hanno solo innescato un cambiamento di forma ma non di contenuto. Hanno mutato la sola cosa che aveva ancora presa sulle gente, la falce e il martello, senza capire che era la sostanza della loro idea ad essere fallita, prima che il simbolo del partito. Per questo, senza alcuna prospettiva futura, in questa mostra si è celebrato il passato.

Soprattutto nella seconda metà del Novecento, il PCI è stato un grande partito di massa. I suoi leader spesso hanno però agito individualmente e sono stati adulati e assecondati dalla masse, pur nelle loro follie. Infatti credo che una lettura completa della storia di questo partito sia quella che passa per un’analisi dei leader che hanno guidato il Pci in questo settantennio di vita. Nella mostra è stato dedicato, a ragione, grande spazio alla figura di Gramsci, il cui contributo intellettuale è stato determinante per la storia di questo partito. L’opera più celebre di Gramsci è oggi letta in tutto il mondo, essendo considerato come un classico del pensiero politico del Novecento. E’ inoltre l’autore italiano più tradotto e, forse, il più studiato del secolo scorso, come tengono a precisare le didascalie nella mostra. Tra i leader che hanno poi guidato il partito durante gli anni del dopoguerra, spicca il nome di Palmiro Togliatti. Un uomo rigido, temerario e autoritario. Togliatti, soprannominato “il migliore”, come nessun altro segretario di partito è stato adulato dai suoi compagni. Il lato più oscuro della sua personalità è stato, di certo, il suo ceco amore per l’Urss. Una cecità politica e morale che gli ha impedito di vedere le atrocità dell’era staliniana, anche quando ormai erano limpidamente chiare a tutti. Togliatti in Italia è stato servito dai suoi compagni ma il suo rapporto con l’Urss è stato caratterizzato invece, da parte sua, da un forte servilismo: era un vassallo che ubbidiva agli ordini del feudo bolscevico. E’ proprio negli anni ‘40 e ‘50 che si instaura un rapporto morboso con i sovietici, che condizionerà la vita politica anche nel nostro paese.

Togliatti, però, manifestò anche un lucido pragmatismo politico quando rivendicò una via italiana al socialismo, nel rispetto della democrazia e della Costituzione che lui stesso aveva contribuito e redigere. Infatti fu proprio il Pci, che insieme alla Dc, approvò l’articolo 7 della Costituzione che dichiara: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. Un voto al quale si opposero i liberali ed socialisti ma non il Pci. Questa linea politica certamente fu concordata con Mosca, che preferiva non scatenare una rivoluzione in Italia, un paese della sfera d’influenza americana, la cui destabilizzazione avrebbe rotto gli equilibri dell’intero globo. L’Urss però non rimase certo a guardare. Una delle parentesi più oscure della storia del Pci, fu il finanziamento che proveniva dai sovietici, il più alto, dato ad una paese che non fosse di quelli “satelliti”. Uno scandalo troppo spesso taciuto, sul quale un ottimo libro di Gianni Cervetti, intitolato “L’Oro di Mosca”, ha tentato di fare luce. Di questa parentesi oscura della storia del Pci nella mostra, ovviamente, non c’è traccia. La falsificazione della realtà, intesa come mistificazione delle cose e dei fatti che realmente accadono, è stata una costante abilità dei comunisti. Fu una dote di molti politici a livello mondiale come Stalin e Mao, capaci di commettere atrocità enormi, facendole passare per battaglie giuste e indispensabili. Come dimenticare che Stalin una volta osò dire ai suoi dirigenti: “Una morte è una tragedia, un milione di morti è statistica”. Tuttavia, con le dovute differenziazioni in termini di argomentazioni, anche un semplice segretario provinciale del Pci di uno sperduto paesino in Sicilia, imparava a sviluppare un’oratoria capace di convincere dell’impossibile un semplice elettore.

Un altro neo di questa mostra è certamente il fatto che è stato dato poco spazio al vero protagonista della sua storia: il popolo comunista. Quella massa di persone, di uomini e donne, che hanno fatto grande il Pci. Tra i leader trova invece poco spazio la figura di Berlinguer. Almeno in proporzione a ciò che è stato ed ha rappresentato per il Pci e la storia d’Italia. Nella mostra scorrono di continuo le immagini del suo funerale. Un evento che scosse l’Italia tutta, in primis il presidente della Repubblica Sandro Pertini, che fu molto colpito dalla sua scomparsa. Ma questo non rende onore all’operato politico di Berlinguer. Il primo leader e segretario di partito che aveva messo in discussione le direttive di Mosca. Fu solo con la segretaria di Enrico Berlinguer che qualche “luce” filtrò all’interno della storia del Pci, dopo anni in cui il rapporto fu solo di incondizionato servilismo con L’Urss. Mi sarei aspettato, quindi, che venisse data più visibilità, nella mostra che celebra i settant’anni del Pci, alle grandi aperture di questo politico di origini sarde, oggi ricordato solo per gli imponenti funerali a piazza San Giovanni a Roma. Sin dal principio della sua segreteria, Berlinguer modificò almeno nella forma i rapporti nei confronti dell’Urss, anche se nella sostanza, pur in modo ridotto, i finanziamenti continuavano a giungere in Italia. Mi sarei aspettato, ancora, di vedere le immagini di Berlinguer nel congresso dei partiti comunisti tenutosi a Mosca nel 1969 in cui per la prima volta, pubblicamente e in Urss, fu paventata l’ipotesi di un modello comunista alternativo a quello dei sovietici. Un fatto storico di grande importanza che inaugurò il principio del dissenso nella realtà plastificata e uniforme dell’Urss.

Berlinguer fu anche protagonista indiscusso del “compromesso storico”, di una della fasi più delicate della storia repubblicana, in cui si è rischiato veramente di innescare una guerra civile, e dell’eurocomunismo, un’idea di comunismo che partisse da una base democratica.

Il Pci non ha saputo cogliere a fondo quelle che sono state le novità introdotte da Berlinguer. Dopo di lui, la vera svolta fu quella della Bolognina, dove Achille Occhetto iniziò la sua rivoluzione. Durante il congresso che sanciva la fine del Pci, Occhetto scoppiò in lacrime. Il Pci era stato sepolto, la falce e il martello eliminati e il Muro di Berlino crollato. Tuttavia l’avvento di Tangentopoli, che non intaccò minimamente il Pci che prendeva soldi dall’Urss, potenza nemica all’Italia, paese inserito nel Patto Atlantico, sembrava aver in qualche modo aperto un’autostrada davanti al nuovo partito e il suo leader Occhetto. Infatti nel 1994 dopo piàù di settant’anni finalmente si apriva una prospettiva di governo. Dopo aver dominato la cultura, l’università, la scuola e parte della magistratura, non rimaneva altro che conquistare le istituzioni governative.

Su quella strada, però, che sembrava facile da percorrere, si inserì con forza un uomo che, animato da un progetto politico nuovo e moderato, spezzò questo sogno comunista: quell’uomo fu Silvio Berlusconi. Ma questa è un’altra storia. La nostra storia.

 

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