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PERCHE’ MANGIO RADICI?

 

E’ stato un “circo mediatico” in cui si sono “esibiti” tutti, ma proprio tutti con commenti adulatori ed altri invece denigratori. Personalmente non mi schiero né con gli uni né con gli altri. Ora, in poche righe, dirò quello che penso, le mie percezioni, sul film di Paolo Sorrentino “La grande bellezza”, Oscar come miglior film straniero di quest’anno.

Le interpretazioni degli attori sono state tutte formidabili. Servillo in primis, che appare così cinico, sferzante e superbo. Ma anche le performance di Ferilli, Buccirosso e Verdone (il cui monologo in teatro prima di “lasciare” Roma è formidabile) sono state strepitose. I dialoghi con la direttrice nana (così magnificamente autoironica tanto da trasformare la sua condizione fisica in forza carismatica, caratteriale e professionale) sono davvero intensi.  

La figura emblematica di Jep, alla ricerca di risposte che sembra non trovare più, è allo stesso tempo cinica ma malinconica, appare un uomo spavaldo ma sensibile. Uno scrittore che ha vissuto e poi governato la mondanità romana. Per me è il ritratto malinconico del genio maledetto che vive con il rimorso di un passato che sarebbe potuto essere e che non è stato. L’uomo che si misura con il dolore della morte, anche di quelli più giovani. Jep  non fa mistero delle sue debolezze, del fatto che in tutta la vita, non ha mai trovato la grande bellezza. Anzi forse sì: l’amore giovanile per una donna, che però non ha vissuto, ma che lo ha solo sfiorato. E quando forse sembra ritrovarla in Ramona (Ferilli) giunge la morte, severa e spietata, nel prenderla via per sempre.

In questo film, ci denoto qualcosa di leopardiano. Una senso di malinconia per tutto ciò che è passato e non sarà più. Per tutto quanto poteva essere e non lo sarà mai. Per una gioventù che rimane solo un ricordo, dell’amore che resterà solo illusione.

La “santa centenaria” afferma rivolgendosi a Jep: “Sa perché mangio radici? Perché le radici sono importanti”.

L‘unica, vera, degna, maestosa, formidabile, entusiasmante, emozionante, autentica “grande bellezza” del nostro paese è rintracciabile nel passato, in ciò che siamo stati, non in quello che siamo. Se guardiamo indietro, non vivremo di rimpianti, ma bensì riscopriremo l’orgoglio di essere Italici e Italiani, e avremo forza di mirare ancora in alto per costruire e inventare ancora il “bello”.

La “santa” nel film parla poco, ma forse pronuncia il più significativo degli aforismi presenti nel film: “La povertà non si racconta, ma si vive”.

Ecco, infine, traslando questo concetto, direi che Sorrentino non si è limitato a raccontare la “grande bellezza”. Ma in questo film l’abbiamo vissuta, toccata con mano, per giungere poi ad un’amara conclusione: la grande bellezza non è un cliché retorico e scontato, ma è indefinita e misteriosa, oscura e indecifrabile.  Tutti l’abbiamo una volta vissuta nella vita. Se l’abbiamo persa, sta a noi ritrovarla e riviverla, senza rimpianti.

 

P.S.: L’altra sera ho visto il film insieme  ad alcuni amici. Durante tutta la proiezione ci siamo interrogati e scambiati idee sul film: qualcuno ha apprezzato altri meno. Ma mia cognata Sabrina tra uno spazio pubblicitario e l’altro, ha affermato: “Di questo film, in un modo o nell’altro ne parleremo nei prossimi giorni, ci piaccia o no. La sua grandezza sta in questo”. Ha avuto ragione.

 

 

 

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